venerdì 11 novembre 2011

La psicosi puerperale...quando le mamme sono tristi!

Tra i disturbi psicologici che si possono riscontrare dopo la nascita del bambino, la situazione più preoccupante è rappresentata dalla psicosi post-partum. 
Fortunatamente, si verifica in un numero limitato di casi, 2-3 casi per mille nascite. L’etiopatogenesi delle psicosi puerperali risulta essere piuttosto complessa: il rischio di sviluppare questa patologia, risulta essere più alto nelle primipare.
 La presenza di disturbi psichiatrici nella storia personale della donna costituisce un altro importante fattore di rischio; in particolare, donne con un disturbo affettivo hanno circa il 50% di probabilità in più di sviluppare una psicosi (Harrington R., 1995) ma, allo stesso tempo, si è osservato che questa tipologia di psicosi può insorgere anche in donne che prima della gravidanza sembravano essere psicologicamente sane (Raphael-Leff J., 1990).
 Secondo alcuni Autori, la presenza di eventi traumatici nel corso dell’anno precedente al parto, uno scarso supporto ambientale, una situazione conflittuale con il partner, il parto cesareo sembrano aumentare la possibilità d’insorgenza di una psicosi (Asch S., 1992).
 Per quanto riguarda i fattori biologici implicati nella patogenesi delle psicosi post-partum, le conoscenze sono ancora scarse.
 L’esordio di questo quadro è acuto, la sintomatologia si manifesta entro le prime settimane dal parto e consiste in sintomi affettivi, come depressione e mania, associati a deliri, allucinazioni, disorganizzazione del comportamento, disorientamento e confusione mentale. La donna si ritira in se stessa, è triste, apatica e trasandata, presenta insonnia e inappetenza; rifiuta il suo bambino, affermando di non sopportarlo e di non volerlo vedere.
 I contenuti dei deliri sono collegati all’esperienza della maternità e generalmente riguardano la vita e la salute del bambino (Monti F., Agostani F., 2006) e ciò risulta essere un grave fattore di rischio per la salute del piccolo.
 In situazioni particolarmente difficili, come nel caso di disaccordi coniugali, di gravi difficoltà economiche o nel caso di una madre nubile o abbandonata, potrebbe verificarsi l’infanticidio, spesso accompagnato dal suicidio della madre.
 Alla base del desiderio di voler uccider il figlio, c’è la fantasia cosciente secondo la quale il bambino soffre e soffrirà sempre di più e solo la morte potrà salvarlo (Racamier P. C., 1978; Rubertsson C., Waldenstrom U., Wickberg B., Radestad I., Hildingsson I., 2005).
 La durata della malattia varia da un paio di mesi fino ad un massimo di otto e la prognosi, nella maggioranza dei casi, è buona.
 Inoltre, è stato rilevato che il momento dell’insorgenza delle psicosi puerperali sembra essere un fattore molto importante nel determinare la qualità del legame tra madre e figlio e il successivo sviluppo del bambino (Raphael-Leff J., 1990). 
Lamour (1989), esplorando gli effetti della psicosi materna sui bambini, ha rilevato un’accentuata presenza di disturbi dell’attaccamento e difficoltà a controllare gli impulsi aggressivi come conseguenza dell’incapacità della madre di interpretare l’espressione affettiva del bambino.
La gestione delle psicosi puerperali richiede interventi medici, psicologici e di assistenza articolati, a seconda della gravità della sintomatologia.
 Nelle forme più gravi è necessario il ricovero della donna in ambiente protetto e il trattamento con neurolettici.


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

domenica 6 novembre 2011

Giochiamo insieme?

Dalla nascita in poi, la maggior parte delle azioni che compie un bambino sono un gioco; con il gioco il bambino sviluppa le proprie capacità, esplora l'ambiente e impara le regole.
Per mezzo del gioco i bambini apprendono molte informazioni e nello stesso tempo si divertono. 
Ai bambini piace poco giocare da soli, preferiscono giocare in compagnia, perchè hanno bisogno dell'attenzione di qualcuno che condivida con loro il gioco. Solo gradualmente e con il passare del tempo diventano indipendenti anche nel gioco.
I bambini imparano da tutto ciò che li circonda e da ogni oggetto che gli capita sotto mano, traendone spunti per giocare e per imparare.
Spesso i piccoli dimostrano la capacità di creare e di fare delle cose interessanti con oggetti comuni che vengono utilizzati nel quotidiano.
Inoltre, gli stimoli a cui è esposto il bambino sono considerati tra i fattori più importanti per uno sviluppo ottimale. 
Pertanto è necessario che i genitori si impegnino ad essere sempre propositivi e attivi per aiutare il proprio figlio nella crescita; occorre capire cosa interessa e quali siano le inclinazioni del bambino.
La creatività del genitore e la capacità di individuare nelle situazioni quotidiane opportunità per crescere, cose da guardare e manipolare e per pensare è fondamentale per lo sviluppo del bambino.
Ogni età ha i propri giochi. Dalla nascita ai tre mesi, il bambino non ha ancora raggiunto la posizione eretta, è spesso sdraiato e pare poco capace di interagire con il mondo e le persone che lo circondano. I giochi che possono essere utilizzati devono essere in grado di stimolare i suoi sensi, in particolar modo la vista e l'udito; i giochi devono essere colorati e far rumore. Il genitore può proporre i giochi al piccolo e interagire con lui, anche se in questo momento è il viso del genitore e le sue espressioni che incuriosiscono maggiormente il neonato.
Verso i quattro mesi, il bambino impara a stare seduto e ad essere più partecipe nelle interazioni; a quest'età la bocca e le manine sono lo strumento privilegiato che consentono al bambino di esplorare e di scoprire, pertanto si possono utilizzare giochi colorati, facili da maneggiare, di diversa consistenza e che producono suoni diversi, come per esempio i sonagli. 
Dai sette ai nove mesi, il piccolo diventa via via più attivo, prende gli oggetti ed è in grado di riconoscere l'ambiente, le persone e gli oggetti  famigliari. I giocattoli devono essere colorati, di consistenza diversa come i peluche, oggetti di gomma o di legno o di tessuto, non troppo piccoli e non scomponibili (perchè le piccole parti potrebbero essere ingerite) e facili da afferrare. Con la supervisione degli adulti, si possono utilizzare anche oggetti comuni non pericolosi come i mestoli di plastica, le ciotole e i cucchiai. Sono molto apprezzate dai bambini anche le bottiglie di plastica, ben pulite e senza tappo.
Dai dieci ai dodici mesi, il bambino è un vero e proprio esploratore, incomincia a gattonare e a stare in piedi se trova un appiglio al quale aggrapparsi; in questa fase, i giochi devono sviluppare e accrescere la voglia di muoversi e di manipolare del bambino. Palloncini di diverso materiale e grandezza, carrettini da trascinare, cubi e costruzioni da incastrare, secchielli. macchine e trenini da spingere, peluche di tessuto sono fondamentali per favorirne lo sviluppo.
Ad un anno, il bambino acquisisce capacità manipolatorie sempre più elaborate ed è molto curioso. I giochi che predilige sono i pupazzi, i cubi e le costruzioni da incastrare, secchiello e palette; incomincia a giocare  con gli altri bambini, anche se osservandoli sembra che siano autonomi, essi sono in continuo scambio reciproco.
Verso i due anni, il bambino è interessato al gioco simbolico: il far finta di essere la mamma, giocare al supermercato o utilizzare oggetti di uso quotidiano per inventare storie e personaggi.
A questa età i giochi devono stimolare l'immaginazione e la creatività, pertanto sono molto utili le costruzioni, pentolini e piatti, peluche, vestiti per i travestimenti, fogli e colori, semplici strumenti musicali, tricicli, carettini e biciclette da usare all'aria aperta.

Dott.ssa Nicolina Lo Mastro.

giovedì 27 ottobre 2011

La Depressione post-partum... quando le mamme sono tristi!

La maternità comporta il più radicale cambiamento di ruolo che possa vivere una donna.  Trovarsi ad affrontare sentimenti e stati d’animo che non trovano immediato riconoscimento e conseguente collocazione all’interno dei propri personali riferimenti, la paura di non essere all’altezza, il continuo riferimento alla propria esperienza di figlia, determina un’instabilità psico-emotiva. 
Purtroppo la presa di coscienza intorno a tali tematiche è piuttosto scarsa e l’interesse al periodo del post-partum si concentra generalmente intorno alle cure ed ai consigli per accudire il neonato, o alla mamma che allatta, piuttosto che agli aspetti relazionali della diade madre-figlio e alle emozioni ed ai sentimenti della neomamma. 
Il difficile adattamento alla nuova condizione può determinare stati di sofferenza e di angoscia, fino a condizioni decisamente patologiche. Si tratta di situazioni che possono sfumare l’una nell’altra, che il sistema nosografico, DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994), ha classificato in crescendo come “baby blues”, depressione post-partum e psicosi puerperale.
Il “baby blues”, letteralmente “malinconia del neonato”, si riferisce allo stato di malinconia che caratterizza il fenomeno; si manifesta in oltre il 70% delle madri nei giorni immediatamente successivi al parto. È una sindrome clinica di intensità moderata, transitoria, di breve durata e nel complesso benigna, che insorge nei primi dieci giorni dopo il parto. 
Nel caso in cui questo stato d’animo persista per oltre due settimane, si deve ritenere di essere in presenza di una vera e propria depressione post-partum (Monti F., Agostani F., 2006; Ammaniti M.,  Cimmino S., Trentini C., 2007).
La depressione post-partum è un problema complesso e dalla diffusione crescente. Ha un’incidenza che si aggira intorno al 20-25% delle madri; l’esordio, che può avvenire dal terzo al primo anno dopo il parto, è sfumato e graduale, ma in alcuni casi può essere anche molto rapido. L’intensità della sintomatologia può variare da un lieve disagio nel gestire i rapporti all’interno del proprio nucleo familiare, fino ad arrivare a un sentimento di totale difficoltà nell’affrontare anche gli eventi più banali, legati non solo, alla maternità.
 Le madri affette da questa patologia provano un’eccessiva preoccupazione e ansia, sono molto irritabili, l’umore è depresso e frequenti sono i sensi di colpa e la perdita di speranza nel futuro; la madre esprime insicurezza e inadeguatezza circa le proprie capacità di gestire il bambino e si rimprovera di occuparsi del neonato senza provare gioia. Sia il sonno che l’appetito sono compromessi: possono esserci una difficoltà nell’addormentamento, sogni angosciosi che provocano bruschi risvegli, un risveglio precoce il mattino o al contrario un’eccessiva sonnolenza; inoltre, è possibile che si verifichi un alternarsi di perdita dell’appetito, con conseguente perdita di peso, e di episodi bulimici. Possono comparire difficoltà di concentrazione, causate dall’eccessiva stanchezza fisica che l’accudire un bambino determina, legata all’insufficiente recupero tra poppate, cambi di pannolino e sonni interrotti. Sono presenti anche sintomi fisici, solitamente dolori, debolezza muscolare, palpitazioni e vertigini (Amato M., 2007).
Quando la madre rimane sola con il bambino, possono comparire fobie e compulsioni. L’ansia aumenta a ogni richiesta del neonato e porta la mamma a consultare più volte il pediatra. La gravità può variare da episodi di depressione minore, spesso non diagnosticati, perché il funzionamento della madre è apparentemente buono, nonostante i vissuti e le esperienze emotive siano di tipo depressivo, fino a episodi di grave depressione maggiore.
Per quanto riguarda le cause dell’insorgenza della depressione post-partum, Milgrom e i suoi colleghi (2003) hanno proposto un modello eziopatogenetico di tipo biopsicosociale. In questo modo, vengono identificati numerosi fattori che entrano in gioco contemporaneamente, rendendo più probabile l’insorgere della depressione post-partum. Infatti, relativamente ai fattori biologici, è noto come in gravidanza si producono grandi quantità di progesterone e di estrogeni, in un perfetto equilibrio a seconda della fase della gravidanza; con il parto e nei giorni subito successivi, i livelli di questi ormoni si riducono bruscamente con ripercussioni sulla trasmissione dei neurotrasmettitori, incidendo, quindi, sul tono dell’umore, sulle capacità cognitive e sulla memoria. Inoltre, sembra che la prolattina, ormone che prepara le mammelle alla produzione di latte, abbia un certo effetto protettivo sull’insorgenza della depressione. Ma, le difficoltà che a volte si registrano nel corso dell’allattamento, come ad esempio l’insufficiente produzione di latte o le ragadi, possono essere fonte di stress per alcune donne, suscitando sentimenti di inadeguatezza e frustrazione.
Ci sono, inoltre, delle variabili personali che possono facilitare l’insorgenza della depressione post-partum. Donne che, in precedenza, hanno sofferto di disturbi psichiatrici sembrano essere a maggior rischio di depressione post-partum (Seifer, Dicksein, 2000). O’Hara e Swain (1996) hanno evidenziato che una storia precedente di depressione, in particolare se associata ad eventi di vita negativi, alla depressione durante la gravidanza e a vari fattori di stress legati al bambino, può essere considerata altamente predittiva della depressione post-partum.
Nonostante ciò, non mancano segnalazioni di insorgenza della depressione unicamente nel post-partum, non preceduta da precedenti episodi.
Anche un grave stato d’ansia durante la gravidanza può incidere sulla comparsa della sintomatologia depressiva nel periodo postnatale. Però, è più probabile che l’ansia rappresenti non una causa, ma una conseguenza dei numerosi eventi stressanti e dei fattori di vulnerabilità alla depressione post natale. Alcuni fattori di personalità, quali un forte bisogno di ordine, controllo e perfezionismo, una bassa autostima oppure un’eccessiva sensibilità interpersonale, potrebbero determinare la depressione, oltre che esserne l’effetto. 
Difficoltà relazionali con i propri genitori, scarse cure materne nell’infanzia, specialmente se associate ad abusi sessuali e maltrattamenti, o la perdita della madre durante l’infanzia sono tutti eventi traumatici che potrebbero essere considerati ulteriori fattori predittivi per la depressione. Cosi come donne, che hanno subito un lutto recente o un aborto, fanno fatica ad abituarsi alla nuova gravidanza, in quanto temono un’altra perdita e si sentono colpevoli di amare un’altra persona, sviluppando, successivamente, problemi dell’attaccamento nei confronti del bambino, nonché stati di panico e paura nel corso del travaglio e del parto. È stato rilevato anche che donne la cui madre ha sofferto o soffre di depressione, hanno una percentuale più elevata di rischio rispetto alla sintomatologia depressiva (Merchant D. C., Affonso D., Mayberry I., 1995).
Complicazioni alla nascita, una nascita traumatica o un parto cesareo possono provocare un vissuto doloroso e la sensazione di avere in qualche modo fallito. Il numero dei parti, l’età della donna, la mancata programmazione della gravidanza rappresentano fattori aggiuntivi di stress che possono contribuire all’insorgere della depressione post-partum (Milgrom J., Martin P. R., Negri L., 2003).Anche il temperamento del bambino e le difficoltà di interazione tra la  madre e il bambino risultano essere dei fattori altamente predittivi della depressione post-partum: una madre che vive il proprio bambino come difficile da gestire riceve un rinforzo negativo dall’interazione con il figlio, aumentando il rischio di sviluppare una depressione. Inoltre, è ben noto come la relazione madre-bambino sia caratterizzata da un adattamento reciproco nelle interazioni, in cui la madre si sintonizza con i ritmi del bambino e viceversa, ma una mamma molto depressa può essere carente nella capacità di sintonizzazione, privando, così, il bambino di esperienze di piacere e autonomia. 
Anche il conflitto coniugale, la mancanza di supporto emotivo e la qualità della relazione di coppia, possono influire sull’insorgenza della depressione. La particolare attenzione che la madre rivolge al neonato nelle prime settimane dopo il parto, corrispondente a quello stato mentale che Winnicott (1958) ha definito “preoccupazione materna primaria”, può far sentire il neo papà escluso affettivamente dalla coppia madre-bambino, con conseguenti difficoltà nel rapporto matrimoniale. Inoltre, alcuni sintomi della depressione, come irritabilità, stanchezza, perdita degli interessi e riduzione dei rapporti sociali, possono contribuire ad aumentare l’insoddisfazione coniugale (Paykel E. S., 1994) e a facilitare nelle donne vissuti di solitudine, di mancanza di sostegno pratico e affettivo da parte del coniuge (Giusti E., Pitrone A., 2004). 
È importante valutare, anche, la presenza di sostegno sociale, non solo da parte del coniuge, ma anche della famiglia e degli amici, nel periodo immediatamente dopo il parto e nei mesi successivi. In particolare, è la qualità del sostegno ad essere significativa, in quanto ad influire sarebbe la presenza o meno di qualcuno con cui condividere le preoccupazioni e sul quale poter contare in qualunque momento e circostanza. 
Il giusto sostegno fornito subito dopo il parto attenua il senso di isolamento e può essere di grande aiuto

Dott.ssa Nicolina Lo Mastro.

domenica 23 ottobre 2011

La gravidanza: tra cambiamenti somatici e corrispondenze psicologiche.


Molti autori concordano nel considerare la gravidanza come un  vero e proprio evento psicosomatico.
A tal proposito, diversi studi hanno cercato di individuare delle regolarità psichiche in corrispondenza delle trasformazioni che il corpo subisce nel corso dei nove mesi di gravidanza. Di particolare importanza è la percezione dei movimenti fetali, che viene considerata un momento fondamentale nella riorganizzazione dell’assetto psichico della gestante.
La Bribring (1959, 1961) parla di due importanti “compititi adattivi” della donna in relazione a due stadi della gravidanza: nei primi mesi dopo aver scoperto di portare in grembo una creatura, la gestante accetta e considera il feto come parte integrante di sé, in uno stato di fusione. I primi movimenti fetali, invece, segnano il momento in cui la donna, avvertendo la presenza del bambino, comincia a considerarlo come altro da sé, rompendo l’unità narcisistica precedente. A questo punto inizia il secondo compito che consiste nella riorganizzazione degli investimenti oggettuali per prepararsi all’evento nascita e alla separazione fisica dal bambino.
Un’altra autrice che sottolinea l’importanza della suddivisione della gravidanza in stadi è la Pines (1972, 1982). L'Autrice individua quattro fasi, mettendo in evidenza le corrispondenze tra le fantasie e le manifestazioni somatiche che si verificano.
Nel periodo iniziale la donna è molto concentrata su se stessa, sulle modificazioni che subisce il proprio corpo, come la crescita del seno e della pancia, le alterazioni del ritmo del sonno e la stanchezza. Il vomito, la nausea e le voglie sono considerati dei disturbi psicosomatici e indicano la presenza di ambivalenza nei confronti della gravidanza e del bambino, esprimendo da una parte il desiderio di espulsione del feto e dall’altra il tentativo di incorporarlo nuovamente in una fusione indissolubile.
Con la percezione dei primi movimenti fetali, ha inizio la seconda fase: il bambino viene riconosciuto nella sua individualità. In questo stadio aumentano le fantasie materne, sia consce che inconsce, sul feto e sulle sue caratteristiche, al quale vengono attribuiti i propri connotati.
Gli ultimi giorni della gravidanza costituiscono la terza fase; sono pervasi dalle preoccupazioni materne riguardanti il travaglio, il parto e la salute del bambino al momento della nascita. 
La gravidanza si conclude con il parto, il quarto stadio; in questa fase, avviene la separazione fisica tra il bambino e la madre e finalmente vi è l’incontro con il bambino reale; notevoli sono i cambiamenti corporei che si verificano. 
Le modalità in cui queste fasi vengono affrontate ed elaborate dalla donna inciderà sul suo sviluppo psichico e relazionale nei confronti del bambino.
Precedentemente si è accennato a come la gravidanza non sia solamente un periodo caratterizzato da gioie e speranze, ma spesso si presenta come un periodo caratterizzato da timori e angosce che, pur accompagnando tutta la gestazione, si presentano in maniera più evidente in prossimità del parto. 
Soifer (1971) individua sette momenti, in cui a particolari stati fisici è associato un eccesso di angoscia ben preciso. Nel primo mese l’ansia è legata all’incertezza sull’avvenuto concepimento e sulle proprie capacita di accudire successivamente il bambino. Fino al terzo mese, in ogni gravidanza, è alto il rischio di aborto ed esso viene messo in relazione alla paura che l’embrione non si sia annidato in modo consono nel ventre materno e pertanto ciò è vissuto in modo persecutorio. Dal quarto al quinto mese, diventano percepibili i movimenti del feto, che possono venir negati, oppure inconsciamente interpretati come segni minacciosi del bambino. Negli ultimi mesi della gestazione, la madre avverte movimenti più accentuati del bambino, provocando altre angosce inconsce che si manifestano a livello somatico, per esempio con crampi e ipertensione. Inoltre possono essere presenti paure di svuotamento e di perdita, innescati dal timore di una nascita pretermine. L’ultimo mese di gestazione è caratterizzato dall’insorgenza di incertezze sulla data del parto; l’eccesivo aumento di peso e delle dimensioni del bambino sono fonte di preoccupazione per la salute del bambino. Gli ultimi giorni precedenti al parto, contemporaneamente alla percezione delle prime contrazioni uterine, sono caratterizzati dall’angoscia di non riuscire a partorire, della paura dei dolori del travaglio e della morte propria e del bambino. Riemerge anche il conflitto tra il desiderio di trattenere il feto e quello di espellerlo, presente già all’inizio della gravidanza.
A proposito delle ansie riguardanti il parto, che si manifestano con maggior intensità negli ultimi mesi della gravidanza, la Breen (1992) mostra come il parto determina una separazione e pertanto implica delle paure; queste angosce sono controbilanciate dalla curiosità e dall’entusiasmo di incontrare il proprio figlio e sono talmente importanti da poter influenzare la durata del travaglio. La nascita di un bambino sano è fonte di rassicurazione e gioia, ma nello stesso tempo emergono tre “sensazioni di perdita”: quella della condizione di pienezza, innescata dalla gravidanza, in quanto il parto è vissuto come il termine di un’esperienza; la perdita del “bambino interno”, poiché partorire significa separarsi da un compagno che è rimasto costante per nove mesi; la perdita del “bambino fantasticato” e del proprio sé nel ruolo materno idealizzato, poiché il bambino reale può non avere tutte le caratteristiche attese e la madre stessa può scoprire che non ha tutte le capacità per accudirlo. Secondo l’Autrice, quest’ultima perdita è quella tra le più difficili da elaborare, in quanto possibile causa di delusioni e di tristezze dopo il parto.
Un’altra suddivisione della gravidanza in stadi è proposta dalla psicoanalista Raphael- Leff (1990). L’autrice evidenzia un’analogia tra i tre periodi individuati e le tre fasi del rapporto madre-bambino della Mahler (1975). I primi mesi di gravidanza sono caratterizzati da uno stato di “inattività vigile”, paragonabile alla fase “autistica normale”, dove la gestante è molto concentrata su se stessa per raggiungere uno stato di gioia e di benessere. Successivamente, con la percezione dei movimenti fetali, la donna comincia ad accettare la presenza del bambino, integrandola nell’immagine di sé. È la fase dello “schiudersi”, che può essere paragonata alla fase “simbiotica” della Mahler. Infine, la terza fase, che termina con il parto, comporta il “riavvicinamento” della madre al proprio bambino.
Si può notare come tutti gli autori citati siano concordi nell’evidenziare quanto siano incisivi sul vissuto materno i primi movimenti fetali. De Benedetti Gaddini (1992) sostiene che la preoccupazione materna primaria ha inizio proprio con la percezione dei primi movimenti fetali.
Con l’espressione “preoccupazione materna primaria” si fa riferimento a quel particolare stato della mente che la donna sviluppa dell’ottavo mese di gravidanza e permane fino al terzo mese di vita del bambino, che era stato descritto da Winnicot nel 1956. È una particolare condizione psichica, molto simile ad una malattia, caratterizzata dal completo assorbimento della madre nei confronti del proprio bambino, per entrare in sintonia con lui e con i suoi bisogni. La presenza di questa sensibilità materna, oltre ad essere fondamentale nell’anticipare e nel rispondere prontamente ai bisogni del neonato, è importante per porre le basi dello sviluppo della psiche del bambino. Infatti nel caso in cui la madre non sia stata in grado di tollerare la presenza di queste preoccupazioni, lo sviluppo del bambino subirà delle conseguenze.
Infine, per concludere questa breve trattazione circa l’influenza del rapporto tra modificazioni fisiche e cambiamenti nell’assetto psichico, intendo focalizzare l’attenzione su quanto, in gravidanza, l’aumentata produzione di ormoni, quali gli estrogeni e il progesterone, sia fondamentale per la comparsa dei comportamenti materni. Conseguente a quest’aumento ormonale è la modificazione della struttura stessa del cervello materno; in alcune aree aumentano le dimensioni dei neuroni, mentre altre modificano la loro struttura, dimostrando che la maternità migliora le capacità mentali della madre (Ammaniti M., 2008).


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

giovedì 13 ottobre 2011

Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do...

Il ritmo sonno-veglia di neonati e bambini varia a seconda dei casi; alcuni bambini, fin dalla nascita, necessitano di più ore di sonno rispetto ad altri.
 A scopo indicativo, dalla nascita ai tre mesi, un neonato può dormire 16-17 ore su 24, oppure solamente 8, compresi i pisolini durante il giorno; il suo sonno è influenzato da numerose variabili quali il numero di pasti, specialmente di notte, il troppo caldo o il troppo freddo.
Dai tre ai sei mesi, il bambino crescendo ha meno necessità di essere nutrito di notte e di conseguenza i periodi di riposo si allungano; alcuni saranno in grado di dormire per 8 o più ore di seguito. 
Dai sei ai dodici mesi, la maggior parte dei bambini non ha più bisogno di mangiare di notte e quindi alcuni potrebbero dormire anche per 12 ore consecutive. A dodici mesi, i bambini dormono per un totale di 12-15, compresi i riposini  fatti nel corso della giornata.
Verso i due anni, è probabile che i piccoli dormano 11-12 ore a notte con uno o due riposini di giorno.
A tre-quattro anni, quasi tutti hanno bisogno di dormire 12 ore di sonno; alcuni potrebbero averne bisogno solo di 11 ore, mentre altri anche 14, con un pisolino durante il giorno.
Sin dalla nascita, si possono prevenire alcuni disturbi del sonno, stabilendo insieme al bambino una semplice e serena routine prima di andare a letto. Per esempio: fargli il bagnetto, mettergli il pigiamino, dargli il latte o la cena, lavargli i denti, la lettura di una favola, le coccole e infine il bacio della buona notte.
E' importante che queste abitudini vengano mantenute, anche con i bambini più grandi, evitando giochi movimentati prima di andare a letto.
Sarebbe opportuno mettere il piccolo ancora sveglio nel proprio letto invece di farlo addormentare in braccio,    altrimenti il bambino non imparerà ad addormentarsi da solo nella propria culla o lettino e vorrà essere cullato o rassicurato ogni volta che si sveglierà. E' necessario mettere a portata di mano del bambino alcuni oggetti che servono per rassicurarlo, come il ciuccio, un pupazzo, una copertina impregnata dell'odore della mamma o una debole luce soffusa.
Comunque, la maggior parte dei bambini al di sotto dei cinque anni si svegliano ancora di notte; alcuni si riaddormentano da soli, altri piangono e richiedono la presenza del genitore.
E' opportuno comprendere il motivo del risveglio e agire di conseguenza; per esempio, se il bambino ha paura del buio, lasciare una luce per la notte; se si sveglia a causa di brutti sogni e incubi, cercare di capirne il motivo; se ha troppo caldo o freddo, regolare i condizionatori o i caloriferi, mettendo una copertina in più. Bisogna assicurarsi che tutto sia a posto e rimettere a letto il bambino senza fare confusione o portarlo in altre stanze e, se è necessario, dargli dell'acqua.
 Gli incubi sono molto frequenti tra i 18-36 mesi e non sono da considerarsi segno di malattia, ma sono legati a ciò che è accaduto durante il giorno, generando nel bambino ansia o paura; il bambino dovrà essere rassicurato e generalmente non vi sono conseguenze e cessano con il tempo.
La capacità di addormentarsi da soli e riuscire a dormire per tutta la notte è una conquista importante nel percorso verso l'autonomia e la maggior parte dei problemi legati al sonno si risolvono mettendo in pratica dei semplici accorgimenti. 
C'è bisogno di molta pazienza e impegno ed è importante che entrambi i genitori siano concordi e coerenti con la strategia da seguire.

lunedì 10 ottobre 2011

Un sano stile di vita per la mamma che allatta...

La neo-mamma che deve produrre il latte, un'alimento di notevole importanza per la crescita del neonato, deve necessariamente seguire uno stile di vita sano e introdurre nel proprio organismo dei cibi adeguati. 
Non esiste una dieta speciale e uguale per tutte le donne che allattano, in quanto ogni organismo ha le proprie esigenze; una mamma impegnata a nutrire il proprio figlio, a differenza delle dicerie che si sono tramandate per anni, non deve mangiare per due ma deve assumere in modo equilibrato tutti i nutrienti necessari, tramite l'alimentazione. Ciò non significa mangiare in eccesso o opporsi agli stimoli dell'appetito, mettendo in atto drastiche diete dimagranti, per smaltire i chili in eccesso accumulati in gravidanza. 
Sempre assecondando i propri gusti, è necessario che la dieta della donna deve essere completa. Deve comprendere tutti gli alimenti essenziali per il benessere dell'organismo materno e per la produzione di buon latte per il bambino.
I cibi, che non dovrebbero mai mancare nell'alimentazione di una donna che allatta, sono i seguenti: i carboidrati come la pasta, il riso, il pane e i biscotti; la carne; il pesce; le uova; il latte e i latticini; le verdure fresche e cotte e la frutta di stagione.
Non è necessario mangiare in quantità eccessive cibi pesanti o indigesti, come le fritture o intingoli; è meglio che i grassi siano crudi.
E' opportuno non eccede con alcuni alimenti che possono conferire un sapore particolare al latte, come per esempio alcune verdure come i cavoli, l'aglio, gli asparagi, la verza ecc.; alcuni bambini possono rifiutare categoricamente di attaccarsi al seno piangendo disperatamente, mentre altri sembrano non accorgesi neanche.
Per quanto riguarda le bevande, di acqua è necessario berne almeno due litri al giorno; non sono controindicate bevande quali l'aranciata, la limonata e i succhi di frutta (meglio se fatti in casa). 
Il caffè, il tè e tutte quelle bevande che contengono caffeina e teina, vanno assunte con cautela, senza mai eccedere nella quantità (un paio al giorno, evitando di berle di sera).
E' meglio non abusare delle bevande alcoliche; il vino e la birra possono essere consumati in normali quantità, mentre è meglio evitare i superalcolici e liquori.
Per quanto riguarda il fumo, è ben noto come la nicotina possa danneggiare direttamente il bambino che viene allattato al seno, oltre che recare danni all'organismo della donna.
L'assuefazione al fumo è difficile da sradicare e si può soffrire davvero molto quando il tabacco viene tolto, tale da indurre alcune neo-madri fumatrici alla rinuncia all'allattamento al seno piuttosto che alla sigaretta.
Pertanto se la donna che allatta non riesce a troncare questa dannosa abitudine (almeno per il periodo dell'allattamento!), è necessario ridurre al minimo il numero di sigarette al giorno.
Infine, la cosa di cui la mamma che allatta ha più bisogno è il riposo, in quanto una donna che è stanca e assonnata non potrà mai portare avanti un'allattamento soddisfacente, rischiando di avere sempre meno latte. Durante la notte il neonato si sveglia frequentemente e nel corso del giorno deve essere assistito quasi ininterrottamente, pertanto è molto complicato per la neo mamma conciliare le proprie esigenze di riposo con quelle della casa, del marito, e della presenza di eventuali altri bambini; un po' di organizzazione, del buon senso e della buona volontà saranno necessari per far sì che la mamma si riposi e dedichi del tempo al recupero delle proprie energie, potendo contare sul partner che deve essere disponibile per un'autentica collaborazione per la cura del neonato.


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

giovedì 6 ottobre 2011

La preparazione al parto...quando l'informazione rende consapevoli!

Da sempre le donne hanno cercato ed acquisito informazioni, abilità e competenze sulla gravidanza e il parto all'interno della cerchia di figure femminili appartenenti alla propria famiglia allargata e partecipando alla cura della stessa, collaborando in modo diretto o indiretto al parto, all'allattamento e alla gestione dei piccoli.
In Italia, a partire dagli anni Cinquanta del secolo passato, soprattutto nei centri urbani, avviene un cambiamento nel luogo predisposto per il parto; non accade più in casa ma in ospedale e pertanto la neo-mamma non può più fare affidamento sul sostegno e l'atmosfera famigliare, privandola dell'appoggio e della trasmissione di informazioni sulla cura del neonato.
L'aumentare della vita media, la scolarizzazione e l'entrata della donna nel mondo del lavoro e il conseguente miglioramento delle condizioni socio-economiche, ha determinato un ritardo nell'età in cui si diventa madri e una notevole diminuzione del numero dei figli. 
Oggi, nel mondo occidentale, si assiste ad un accesso alla maternità  maggiormente strutturato e consapevole; la maggior parte delle donne in attesa del loro primo figlio frequenta un corso di preparazione alla nascita e  spesso vengono accompagnate dal partner o da altri membri della famiglia. 
La preparazione alla nascita è diventata indispensabile per poter compensare la mancanza di esperienza offerta, in tempi antichi, dalla famiglia allargata.
Già nella seconda metà dell'Ottocento, in Francia compaiono le prime esperienze per insegnare alle future mamme quale fosse la corretta condotta da assumere nel travaglio.
Nel corso della prima conferenza nazionale sulla mortalità infantile, tenutasi in Inghilterra nel 1906, si evinse che l'acquisizione materna di regole e di informazioni corrette riguardanti la salute e la cura di se e del  proprio bambino fosse fondamentale per la riduzione della mortalità infantile.
Negli anni Trenta, l'ostetrico britannico Dick Read propose corsi durante i quali venivano insegnate alle donne incinte tecniche di rilassamento per poter gestire meglio i dolori del travaglio; egli  riteneva che sia il travaglio che il parto potessero essere vissuti con una bassa soglia di dolore, in quanto la tensione e la paura della donna contribuivano a rendere le contrazioni dolorose.
Successivamente, negli Stati Uniti, Robert A. Bradley organizzò lezioni sulla nutrizione, il rilassamento, la respirazione naturale e tecniche di gestione del dolore durante il travaglio, con la partecipazione attiva del partner; l'ostetrico riteneva che, con una preparazione adeguata, l'istruzione e il supporto tecnico, la maggior parte delle donne potesse partorire naturalmente, senza farmaci o interventi chirurgici. 
In Russia, Velvovski e in seguito Pavlov svilupparono la teoria che le contrazioni del travaglio erano dolorose ma le donne potevano imparare delle tecniche che permettevano la concentrazioni su stimoli diversi dalle sensazioni dolorose provenienti dall'utero.
La tecnica Lamaze, è una tecnica di parto ideata nel 1940 dal medico ostetrico Fernande Lamaze, il cui obiettivo è quello di aumentare la fiducia di una madre nella sua capacità di partorire, riducendo al minimo la necessità di un intervento medico durante il parto. Questa tecnica prevede incontri che permettono di capire come affrontare il dolore, focalizzandosi sulla respirazione e sul movimento. 
In Italia, Miraglia e Piscicelli hanno sviluppato il metodo RAT (Training Autogeno Respiratorio) che consiste in un allenamento quotidiano per imparare a rilassare i muscoli sia volontari che involontari. Questo metodo, dagli anni Settanta in poi, è stato maggiormente adottato e proposto nei Consultori Famigliari.
In seguito all'aumento della medicalizzazione e dei parti cesarei, in Inghilterra, nel corso degli anni Ottanta, si assiste all'affermazione di un approccio globale che si preoccupa di aiutare la donna a sviluppare, identificare e mobilitare le proprie risorse personali per poter assumere un ruolo attivo nell'esperienza del parto. In questi anni anche il mondo scientifico comincia ad interrogarsi sul ruolo della donna nel suo percorso verso la maternità e sulla sicurezza ed efficacia delle procedure ostetriche erogate in ambito ospedaliero, evidenziando delle linee guida da seguire.
Ultimamente questo approccio si è consolidato ed ampliato, spostando il focus dal contenimento e riduzione del dolore fisico alla preparazione al parto che tiene in considerazione gli aspetti psicologici e promuove la partecipazione attiva e consapevole alla salute psico-socio-fisica della donna, del bambino e della famiglia.


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro




sabato 1 ottobre 2011

Il "Percorso Nascita"

Quando si parla di “percorso nascita” ci si riferisce ad un lungo periodo (almeno 18 mesi) che comprende: il preconcepimento, la gravidanza e il parto, o meglio definito “endogestazione”; i mesi dopo la nascita, fino alla minima autonomia del bambino, che è chiamato “esogestazione”.
La gravidanza, il parto e il diventare genitori sono tra i più grandi e profondi cambiamenti nella vita di una persona.
Rappresentano un periodo di transizione, di estrema apertura e vulnerabilità, con ripercussioni fisiche e fisiologiche per la donna, che deve poter accogliere e far crescere dentro di sè il proprio bambino, e poi per poter partorire e allattare;  ripercussioni emotive, con emozioni anche ambivalenti; relazionali, in quanto modificano il rapporto di coppia;  modificazioni mentali, in quanto si deve fare spazio per un nuovo ruolo;  cambiamenti sociali e persino economici
Cambiamenti così intensi sollecitano con urgenza  la capacità di adattamento e riorganizzazione fisica, interna e pratica di entrambi i genitori.
Molti  neo-genitori si adattano al nuovo ruolo con il minimo livello di stress, grazie alla proprio forza interiore, per il supporto cognitivo e per l’aiuto emotivo e pratico che ricevono dalla loro rete di sostegno; altri, invece, vivono un livello di stress molto pesante.
Alcuni fattori determinanti possono essere problemi psicologici legati alle alterazioni fisiche della gravidanza, patologie, ripercussioni sull'immagine di sé, ma possono anche influire fattori esterni come difficoltà finanziarie, spostamenti, traslochi, lutti famigliari, la presenza di altri figli, tensione nella coppia, l’assenza del partner, le pressioni dell’ambiente lavorativo. Questi ed altri eventi negativi, non fanno altro che aggravare i rischi per la salute psico-fisica sia della madre che del bambino.
Per questi motivi negli ultimi anni si è visto l’interesse di clinici e ricercatori nei confronti della Depressione Post-Partum e di altre problematiche relative alla maternità anche per le conseguenze nefaste che queste possono avere sullo sviluppo fisico-cognitivo e comportamentale del bambino.
Per tanto l'educazione perinatale dovrebbe fornire sia informazioni che appoggio ai futuri genitori, per aiutare le "neonate" famiglie ad assumersi le proprie responsabilità con lo scopo di garantire la salute propria e quella dei propri figli e di incoraggiarle a sviluppare nuove conoscenze, nuovi atteggiamenti e abilità.

Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

venerdì 30 settembre 2011

Consigli pratici: Le posizioni dell'allattamento al seno

Di fondamentale importanza per il successo dell'allattamento al seno, per evitare problemi e consentire a ciascuna mamma che lo desidera di allattare il proprio bambino, è la posizione che si adotta e la modalità in cui il piccolo si attacca; si tratta di metodi, preventivi e allevianti, che permettono di vivere questa esperienza in modo picevole e senza dolore sia per la madre che per il piccolo.
La posizione dell'allattamento deve necessariamente comoda e confortevole sia per la mamma che per il bambino.
Le posizioni più giuste per l'allattamento al seno sono principalmente tre e sono specifiche per casi diversi e secondo le esigenze.
In qualunque situazione, è necessario, prima di incominciare la poppata, lavarsi bene, con dell'acqua e del sapone, le mani e poi solo con acqua i capezzoli, che dovranno essere successivamente  asciugati in modo accurato.

La posizione seduta

E' la posizione più comune; la mamma è seduta su una sedia, sul divano o su una poltrona, con la schiena ben dritta e con i piedi appoggiati a terra. Il braccio della mamma, che sostiene la testa del bambino, può essere appoggiato sul bracciolo o sostenuto da cuscini. E' necessario che il corpo del bambino sia "pancia a pancia" con quello dlela mamma, senza inichinarsi per porgere il seno al bambino, ma avvicinarlo al seno e sostenerlo affinchè la testa del piccolo sia poggiata sulla piega del gomito e il suo viso di fronte al seno.

La posizione distesa

Questa posizione è utile quando la mamma è molto stanca o se si vuole allattare sdraiate al letto o sul divano. La mamma è distesa su un fianco e il viso del bambino è rivolto verso il seno materno. Inoltre, la mamma  può anche mettersi sdraiata sulla schiena con il piccolo su di lei.

La posizione a rugby

Questa posizione è particolarmente indicata in caso di ingorgo mammario o per poter allattare in contemporanea due gemellini.
La mamma è seduta mentre il corpo del bambino viene tenuto al seno come se fosse un pallone da rugby.


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

venerdì 23 settembre 2011

I vantaggi dell'allattamento al seno.

Pediatri ed esperti della nutrizione infantile sono concordi nel definire il latte materno come migliore alimento per i neonati.
Oltre a fornire al piccolo tutte le sostanze necessarie per un'ottima crescita, è fondamentale per l'acquisizione di importanti  anticorpi e fattori protettivi che influiranno positivamente sulla sua salute futura.
Studi recenti hanno evidenziato come bambini allattati al seno hanno minor probabilità di sviluppare problematiche gastrointestinali, infezioni alle vie urinarie e risultano maggiormente protetti dallo sviluppo della celiachia e di altre malattie allergiche come le dermatiti e l'asma.
Inoltre, si è rilevato che i piccoli allattati al seno materno hanno una migliore salute dentale e sono meno esposti a rischio di sovrappeso e obesità infantile.
La composizione del latte materno varia, sia nel corso della stessa poppata che nell'arco del tempo, per adeguarsi alle necessità di crescita del neonato.
Infatti, nei primi giorni dopo il parto la neo-mamma produce il colostro; è un "latte" di colore giallo, denso e cremoso, ricco di sostanze nutritive e protettive, molto importanti per far aumentare di peso il bambino e proteggerlo da infezioni e virus.
Intorno al terzo giorno dopo il parto, avviene il cambiamento da colostro a "latte di transizione"; questo latte, dal colore biancastro e all'apparenza un pò acquoso, fornisce al neonato tutto il nutrimento di cui ha necessità.
Infine, entro qualche settimana arriverà il "latte definitivo", al quale il bambino sarà già abituato. Infatti l'allattamento al seno accresce anche le conoscenze gustative del bambino, in quanto il latte materno si modifica a seconda di quello che mangia la mamma, così il piccolo, sin da subito, sarà abituato al sapore di alimenti diversi.
La consistenza del latte materno si modifica anche nel corso della stessa poppata. Infatti, all'inizio, per placare velocemente la fame e la sete, oltre che la necessità di energie pronte, il piccolo ingerisce in massima parte acqua e zucchero; successivamente, succhiando con regolarità, il latte diventa ricco di proteine, fondamentali per la crescita. Verso la fine della poppata, i grassi aumentano, fornendo al piccolo una riserva di energie e consentendo di dargli senso di sazietà.
Oltre che per il bambino, l'allattamento al seno apporta numerosi vantaggi anche alla mamma.
Il grasso in eccesso, accumulato nel corso degli ultimi mesi di gravidanza, è di fondamentale importanza per la produzione del latte, contribuendo in tempi brevi al ritorno al proprio peso forma.
Con l'allattamento al seno viene stimolata anche la contrazione dell'utero, favorendo la riduzione del'emorragia del dopo parto e consentendo all'utero di tornare più rapidamente alle dimensioni normali.
Tra i vantaggi al lungo termine, per la mamma c'è senza dubbio la riduzione del rischio di osteoporosi in menopausa e di cancro al seno e all'ovaio.
Infine, l'allattamento al seno è anche molto economico, oltre ad essere pratico, in quanto è sempre disponibile e alla giusta temperatura.

Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

martedì 20 settembre 2011

Latte e coccole: aspetti psicologici dell'allattamento al seno.

L'immagine della donna che allatta il proprio piccolo, rappresenta da sempre il simbolo universale della maternità.
L'allattamento al seno, oltre ad offrire l'alimento migliore per il neonato, è il naturale prolungamento del legame profondo che si stabilice nel corso della gravidanza tra la mamma e il  suo bambino.
Infatti, nel corso dei nove mesi di gestazione, il piccolo si è formato ed è cresciuto nel grembo materno, condividendo con la mamma emozioni, gioie e preoccupazioni e, una volta nato, nulla è più rassicurante e accogliente del contatto e del caldo abbraccio con la sua mamma.
Inoltre, l'allattamento al seno favorisce un importante scambio di sensazioni fisiche e psichiche che determina la nascita di un dialogo intimo e piacevole tra la mamma e il suo piccolo; per succhiare il seno, oltre alla bocca, anche la guancia, il naso, il mento e le manine del bambino sono a stretto contatto con la pelle della mamma.
Alcuni studi hanno evidenziato come il neonato, a poche ore dalla nascita, se viene appoggiato sul corpo della mamma, raggiunge quasi immediatamente il seno materno, oltre a godere di piacevoli sensazioni.
Il neonato raccoglie numerose stimolazioni materne sul proprio viso, che sono molto importanti per il potenziamento delle funzioni vitali quali la respirazione e la digestione.
Assaporando il colostro, ricorda e scopre nuovi sapori e, tra le braccia della mamma, può ascoltare di nuovo rumori e movimenti famigliari, come il battito del cuore e l'alternarsi del respiro materno.
Il contatto si arrichisce di componenti visive quando il neonato, se ha gli occhi aperti, intravede la linea curva della mammella e l'area più scura del capezzolo.
Pertanto, l'allattamento al seno facilita l'instaurarsi di un'armonia che è allo stesso tempo nutrizione e trasmissione di affetto e di coccole.
Ma può succedere che, nonostante il forte desiderio di allattare, l'impegno e la buona volontà, qualche mamma incontri delle difficoltà sia all'inizio che durante il periodo dell'allattamento.
Quindi anche in questo caso, il sostegno e l'incoraggiamento da parte del proprio compagno favorisce la promozione dell'allattamento al seno.
Un papà premuroso e collaborante nella gestione domestica,  può consentire alla propria compagna di dedicarsi in modo sereno e tranquillo all'allattamento, favorendo il rafforzarsi dell'intesa di coppia e la relazione padre-bambino.

Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

venerdì 16 settembre 2011

Maternity Blues...quando le mamme sono tristi!

L'esperienza della nascita, sopratutto se si tratta del primo figlio, determina nella neo-mamma notevole stress e maggior vulnerabilità agli sbalzi d'umore.
La stanchezza dovuta la parto, i dubbi e le insicurezze sulla capacità di accudimento del proprio bambino, accompagnano frequentemente i primi giorni dopo la nascita e  fanno si che la donna viva una normale fase di "depressione".
Anche altri fattori come il repentino calo ormonale che avviene subito dopo il parto, le difficoltà nell'avviare l'allattamento al seno, uno scarso sostegno da parte del partner e della famiglia d'origine, l'isolamento sociale ed eventuali difficoltà finanziarie possono influenzare negativamente la condizione fortemente emotiva della neo-mamma. 
Questo periodo temporaneo di tristezza è fisiologico, normale e coinvolge quasi tutte le mamme, con differenze che dipendono dal temperamento e dalla capacità di reagire di ciascuna.
Questo stato d'animo è noto come Maternity Blues, definizione coniata dal pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott negli anni Quaranta ("blues" ha un signifacato particolare in ambito musicale: è un elemento essenziale nel jazz che ne conferisce il carattere triste e maliconico); si manifesta nei primi giorni dopo il parto e si risolve spontaneamente nell'arco di 7-10 giorni senza lasciare nessuna conseguenza nè alla mamma nè al bambino.
Il tono dell'umore è mutevole, con crisi di pianto immotivato, ipersensibilità, ansia e tristezza; possono manifestarsi difficoltà nella concentrazione e del pensiero concettuale fino ad un lieve stato confusionale, alterazioni del ritmo sonno-veglia (già messo a dura prova dai ritmi del neonato), cefalea e disturbi di tipo alimentare come l'inappetenza o il desiderio di mangiare molto e di tutto.
Subito dopo il parto, la donna deve modificare l' immagine di sè, da gestante a quella di madre che si prende cura del proprio bambino, contribuendo a sviluppare sentimenti di confusione. Inoltre, le neo-mamme vivono angosce di separazione e senso di vuoto, necessario per realizzare la rottura del legame fusionale col il feto ed iniziare la relazione con il bambino reale con i suoi bisogni e necessità.
Per superare questo breve e fisiologico periodo di tristezza, oltre alla consapevolezza materna, di fondamentale importanza è la presenza e il sostegno del partner.
Se il periodo di malinconia e tristezza, tipico delle prime settimane dopo il parto, non tende a scomparire, ma si protrae, accentuando alcuni sintomi come l'ansia, l'insonnia, lo stato di malessere, il senso di depressione e la perdita di interesse nei confronti del neonato, è necessario parlarne con il proprio medico curante o con uno specialista, in quanto potrebbe verificarsi un'evoluzione della sintomatologia in un quadro depressivo vero e proprio.


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

sabato 10 settembre 2011

Genitori si diventa...insieme è meglio!



La nascita di un bambino, soprattutto se si tratta del primo figlio, è un evento davvero incredibile e sconvolgente per entrambi i genitori. Tutto è ignoto, sconosciuto e molto spesso l'arrivo del bambino sembra privare i neo-genitori di quello che, fino a quel momento, costituiva il proprio senso di identità.
Si tratta di un evento unico, ricco di emozioni e di gioia ma allo stesso tempo cambiano le priorità, l'organizzazione della vita di coppia e i progetti per il futuro.
La relazione di coppia, nel passaggio da "due" a "tre", è destinata a modificarsi, cambiano equilibri e accordi ormai consolidati e pertanto sarà necessario trovarne altri più adatti alla nuova situazione.
E' un cambiamento senza dubbio positivo, che può unire ulteriormente la coppia, ma è inevitabile anche qualche timore e momenti di scoraggiamento. Sensazioni di precarietà e insicurezza per il nuovo ruolo sono molto comuni, anche in coppie ben consolidate. 
Pertanto, è fondamentale non mettere mai in secondo piano la coppia. Comunicare e confrontarsi è il modo migliore per prevenire discussioni e senso di rabbia.
Spesso, nei primi giorni dopo il rientro a casa dall'ospedale, la cura del piccolo e le visite di parenti e amici assorbono completamente la maggior parte del tempo dei neo-genitori, tanto da non riuscire a trovare uno spazio per scambiarsi le prorie sensazioni di felicità o di inadeguatezza.
Sarebbe opportuno che la coppia possa ritagliarsi un momento in cui ci sia la necessaria tranquillità per potersi ascoltare a vicenda, evitando le critiche, e supportarsi reciprocamente.
E' necessario il coinvolgimento e la partecipazione del neo-papà nelle prime esperienze di cura e nella crescita del piccolo, favorendo così il nascere di una nuova relazione, pur continuando a fornire attenzioni e ed energie alla mamma.
Il sostegno emotivo e pratico del partner è di fondamentale importanza per incoraggiare la neo-mamma ad allattare al seno e, qualora l'allattamento al seno non fosse possibile, il papà potrebbe partecipare alla preparazione del biberon, godendosi la gioia di poter nutrire in prima persona il proprio figlio così come la mamma.
Anche la suddivisione dei compiti è fondamentale per affrontare la ruotine quotidiana senza malumori e rancori.
Inoltre, non è raro che la nascita di un bambino susciti nel neo-papà delle gelosie e fastidi nei confronti del piccolo; è normale che ciò accada in quanto il neonato sembra assorbire la maggior parte delle energie fisiche e mentali della neo-mamma.
Il papà può sentirsi escluso e poco considerato in questo nuovo assetto famigliare, ma questo rapporto simbiotico tra madre e bambino non toglie nulla alla ricchezza affettiva della paternità. La gelosia paterna può manifestarsi anche nei confronti della mamma, che trascorre più tempo con il piccolo e si prende maggiormente cura di lui.
E' importante riconoscere la presenza di questi sentimenti, frequenti e fisiologici ,quando la struttura famigliare si modifica in maniera così irreversibile.
La nuova situazione determina delle difficoltà di adattamento anche per la neo-mamma; la stanchezza dovuta all'accudimento costante del bambino e alle poppate notturne, il forte senso di responsabilità, specialmente nel caso del primo figlio, fa sì che alcune donne si sentano inadeguate e con un grande bisogno di sostegno. A tutto ciò si aggiunge l'enorme calo ormonale che avviene subito dopo il parto: gli ormoni della gravidanza regrediscono mentre quelli della montata lattea aumentano.
La presenza e il supporto del partner e la necessità di tempo per ritrovare equilibrio e stabilità sono di fondamentale importanza per il benessere della mamma e della coppia.
Infatti è dall'intesa tra mamma e papà che nasce la prima sensazione di benessere del bambino.


Dott.ssa Nicolina Lo Mastro

mercoledì 7 settembre 2011

La gravidanza come esperienza unica

La gravidanza e la maternità costituiscono eventi di importanza fondamentale nella vita di una donna, da non ritenersi come fatti unicamente biologici, ma soprattutto come esperienze psicologiche intense e significative, che implicano significati emotivi profondi e fortemente evocativi del mondo interno delle fantasie e dell’immaginario individuale e collettivo.
Il divenire madre può essere considerato come una tappa determinante del processo di formazione della donna, tale da comportare una totale trasformazione e riorganizzazione del proprio senso d’identità.
Inoltre, questa tappa costituisce un banco di prova nel progetto di vita della coppia, mettendo in crisi l’equilibrio raggiunto fino ad ora, riorganizzando i ruoli e le funzioni in vista dell’ingresso di un nuovo membro nella famiglia, il figlio (Minuchin S., 1974).
Infatti, la nascita di un bambino introduce la coppia in una nuova fase del ciclo vitale, da coppia a famiglia; la diade coniugale deve allargare i propri confini per poter includere il figlio, formando così una triade famigliare in cui si evidenziano ruoli e funzioni genitoriali.
Si tratta di un evento che, pur accadendo in un tempo preciso, prende le mosse da molto lontano, riassumendo in sé l’incidenza di varie componenti, quali le famiglie d’origine dei due partner, la loro storia biologica e psichica, l’ambiente socio-culturale in cui sono cresciuti: tale evento.
In gravidanza tutto avviene all’insegna delle modificazioni vistose, che non possono essere paragonabili, per la loro portata, a nessuna delle altre epoche di passaggio della vita femminile, quali ad esempio, l’adolescenza o la menopausa.
Dal punto di vista biologico, l’organismo di una donna diventa un laboratorio; si attiva in modo singolare per garantire lo sviluppo del nuovo individuo, per creare lo spazio fisico necessario alla gravidanza stessa, attraverso una trasformazione corporea molto importante.
A questo intenso lavoro biologico fa riscontro una mobilitazione psichica molto impegnativa che deve affrontare la nuova realtà, ma anche il riapparire di conflitti del passato, in una situazione di aumentata permeabilità tra la sfera somatica e l’aspetto mentale, con influenze reciproche tra tali punti. Infatti, come il corpo subisce delle trasformazioni per accogliere e contenere il bambino, così la mente della donna comincia a fantasticare su se stessa nel nuovo ruolo di madre e sul proprio bambino, sulla relazione che si instaurerà tra di loro.
L’esperienza della maternità si inserisce nella storia dello sviluppo psichico personale e assume per ogni donna un significato ed una connotazione differenti; pur rappresentando un momento di massima gioia ed autorealizzazione emotiva, comporta coinvolgimenti ed implicazioni affettive profonde, tale da configurarsi come una situazione estremamente complessa, delicata e potenzialmente portatrice di ansie, angosce e preoccupazioni. 
 E’ una fase ricca di innumerevoli potenzialità evolutive, ma nel contempo è aperta a rischi che non vanno sottovalutati. Essa appare capace di riattivare dinamiche psichiche profonde, legate a vissuti psichici conflittuali consci o inconsci, legati alla struttura di personalità e alle esperienze affettive precoci. Una gestazione percepita come indesiderata, stressante o traumatica, può avere delle ripercussioni talmente pesanti e destabilizzanti sulla psiche della donna da causare l’insorgere di difficoltà e di problematiche psicologiche, a volte anche di tipo clinico, direttamente precipitate dal divenire madre (Monti F., Davalli B., 2005).
Dunque, accostarsi alla gravidanza presuppone un approccio globale che tenga conto il più possibile dei vari aspetti in gioco in quanto la gravidanza, e con essa il puerperio e l’allattamento, rappresentano una sequenza di eventi che sono sin dall’inizio biologici, psicologici e relazionali.
Dinnanzi alla necessità di prevenire situazioni problematiche derivanti dalle diverse modalità di adattamento alla nuova situazione, non sembra giovare la tendenza verso un approccio esclusivamente medico alla gravidanza e alla maternità; oggi, purtroppo, si tende ad ignorare il sostegno alla madre e alla coppia durante la gravidanza, limitandolo ai soli casi in cui uno scompenso risulti ormai evidente.

Bibliografia
Minuchin, S. (1974). Family and famiy therapy. Harward University Press, Cambridge: Mass. Trad. It. Roma: Astrolabio, (1976)

Monti, F., Davalli, B. (a cura di). (2005). Ripensare la nascita. Bologna: Pentagron.